Come secondo contributo, utile alla costruzione di un lessico diplomatico,
la Scuola di Diplomazie Interspecie propone la parola “corpi”.
L’intimità tra umani, oltreumano e territori è sempre incarnata in forme corporee che si incontrano e si piegano reciprocamente nell’incontro.
Questo secondo contributo articola la relazionalità della definizione di intimità nella materialità dei corpi. Un’intimità che nasce ai bordi di violenze e sopraffazione, ma anche di coabitazioni secolari e parentele mitiche, relazioni di potere e di divorazione.
Sono dunque storie tra -e oltre- i corpi quelle che la Scuola di Diplomazie sta raccogliendo in conversazioni e incontri tra tassidermia e falconeria, biologia e tecniche di caccia. Corpi che condividono habitat e pratiche, tecnologie e spazi, corpi che si inseguono e si accostano in attività condivise, che si attaccano o si sfiorano con empatia, corpi che si inglobano e trasgrediscono ruoli e aspettative per formare alleanze. Modi collettivi di relazionarsi, dove le parti in causa sono coinvolte, in maniera temporanea, da solidarietà corporee: condividere la stessa dieta, lo stesso mondo percettivo, provare sentimenti simili, abitare una stessa casa, uno stesso territorio, condividere la mortalità come habitus transpecifico.
Si tratta di quella che Vinciane Despret definisce: “empatia incarnata”, un concetto che descrive “corpi senzienti, vedenti, pensanti, che si annullano e si rifanno a vicenda, reciprocamente anche se non simmetricamente, come prospettive parziali che si sintonizzano l’una con l’altra (…), creando la possibilità di una comunicazione incarnata”.
Le diplomazie interspecie prendono atto di come il corpo diplomatico viene mobilitato dalle relazioni che intrattiene. In questo contesto esso è il primo e più efficace dispositivo di mediazione, una tavola negoziale che permette di divenire-con-gli-altri.