KARIN SCHMUCK
Karin Schmuck, Imaginary Landscape, Limitis, 2020. Courtesy l’artista
UNA CONVERSAZIONE TRA L’ARTISTA E ANDREA LERDA:
AL
Karin, esplorando il tuo lavoro ho notato come alcuni elementi ricorrano in buona parte della produzione artistica. La fascinazione per il concetto di limite; la tendenza a riflettere sulla prospettiva, intesa nell’accezione culturale e attraverso la sua rappresentazione in quanto linea che separa la Terra dal Cielo; il ricorso al cammino come esperienza fondante del processo creativo.
Le tue opere sono caratterizzate da una semplicità formale apparente. In realtà, uno sguardo lento e attento rivela la complessità di significati che le immagini, la tecnica compositiva e la tipologia di display intendono evocare. La montagna è un elemento centrale nella tua ricerca. Mi racconti che cos’è per te la montagna e come entra nel tuo lavoro?
KS
La montagna è parte della mia vita fin da piccola. Sono cresciuta in una zona in mezzo alle Alpi, con la famiglia e gli amici si passava spesso in montagna, praticamente ogni fine settimana. Più tardi, gli anni degli studi e oltre, ho vissuto in città più o meno grandi e ho provato una certa indifferenza verso di essa. Da tempo però l’ho riscoperta e ora vivo molto la montagna, sia nella vita privata, praticando scialpinismo e arrampicata, che in quella lavorativa, nella quale, in modo particolare negli ultimi anni, l’ho fatta diventare un soggetto principale della mia ricerca, specialmente per il progetto Limitis.
Come la montagna, anche il mare è un elemento fondamentali della mia ricerca, li metto sullo stesso piano. Sono per me natura allo stato puro e i luoghi che cerco, sono posti remoti dove forse l’uomo non ha ancora messo piede o la sua traccia non è così riconoscibile.
Karin Schmuck, Imaginary Landscape #11, Limitis, 2022; Imaginary Landscape #01, Limitis, 2021. Courtesy l’artista
AL
Se pensiamo all’immaginario storico della montagna, la relazione fisica tra corpo umano e corpo naturale appare centrale.
In molti dei tuoi lavori il corpo è un elemento centrale. Intendo il tuo corpo, che diventa strumento funzionale sia alla realizzazione delle fotografie sia alla loro significazione concettuale. Questo accade ad esempio in Limitis (2020, in corso), Widest View (40 days, 40 walks, 40 views) (quarantine), 2020 e Hercules’ Pillars (2019).
KS
Per realizzare i miei lavori uso il mio corpo come vero e proprio “dispositivo di registrazione”, compiendo una rotazione fisica – come nel caso di Opposites (Limitis) o di Imaginary Landscapes (Limitis) – di 180° nel momento in cui devo scattare le fotografie. Il corpo è uno strumento che mi permette di potenziare lo sguardo. Di conseguenza, lo sguardo non si limita alla vista, ma chiama in causa tutta la dimensione corporea. Questo processo riguarda tanto me quanto lo spettatore che, nel momento in cui fruisce le mie opere è chiamato a una relazione fisica, oltre che visiva.
Il corpo è attivato nella sua interità. Guardare e camminare sono infatti due azioni in dialogo. Entrambe hanno a che vedere con la presa di coscienza e mi aiutano a sviluppare un processo cognitivo e creativo. Camminare – spesso questo avviene in montagna – per me significa muovermi alla “giusta” velocità, ed è per questo che scelgo di integrarla nel mio lavoro, di cui ne è certamente influenzato.
AL
Mi racconti com’è nato invece il progetto Imaginary Landscape? Quali sono i riferimenti che guidano queste fotografie e come hai realizzato le immagini?
KS
Imaginary Landscapes consiste in una serie di fotografie che ho realizzato all’interno del progetto Limitis, per cui ho percorso i confini della mia provincia, l’Alto Adige. Sono fotografie in bianco e nero che, a prima vista, sembrano delle classiche fotografie di montagna, anche un po’ vecchio stile, se vogliamo. In realtà, come svela anche il titolo, rappresentano paesaggi (montuosi) che non esistono, perlomeno non così come li faccio vedere in queste immagini. Ciò che queste fotografie mostrano è l’unione di due scatti realizzati stando in un punto di confine, che ho raggiunto solo dopo ore di camminata, superando notevoli ostacoli e tanti metri di dislivello, e compiendo una rotazione di 180° per scattare la seconda fotografia. Solo uno sguardo attento e forse un po’ rallentato svela questo gioco allo spettatore; guardandole attentamente si scopre che c’è “qualcosa che non va”, che la luce non può essere questa, che i paesaggi sono fittizi.
Karin Schmuck, Opposites #22, Limitis, 2022. Courtesy l’artista
Karin Schmuck, Water #08, Limitis, 2022. Courtesy l’artista
AL
Vorrei chiederti di parlare ancora della serie fotografica Limitis e di come essa esplori il concetto di limite. Un tema che tratti anche in un altro progetto molto interessante prodotto durante il periodo pandemico e dal titolo Widest View (40 days, 40 walks, 40 views) (quarantine).
KS
Come dicevo, per il progetto Limitis, al quale lavoro dal 2020, ho percorso il perimetro della mia provincia dando corpo a un ciclo di lavori composto da serie fotografiche, disegni e installazioni. Ho iniziato in un momento storico in cui i confini regionali hanno assunto una nuova importanza, anche se nell’outcome artistico non volevo che questo territorio fosse troppo dichiarato. Infatti non ci sono riferimenti storici particolari, né faccio vedere alcun intervento umano. Mi concentro sul concetto di confine, e la sua transitorietà; sulla differenza tra la linea tracciata sulla carta e la dimensione fluida e graduale che connota il passaggio reale.
Widest View (40 days, 40 walks, 40 views) (quarantine) l’ho realizzato durante il primo lockdown dovuto alla pandemia del Covid–19, tra marzo ed aprile 2020. Ogni giorno, per 40 giorni (tempo che storicamente coincide con il periodo della quarantena) partivo da casa alla stessa ora, per fare sempre la stessa passeggiata, con la mia Mamiya c330, una macchina fotografica biottica medio formato. Scattavo sempre una foto, dallo stesso punto, quello più lontano da casa e quello dal quale potevo vedere più lontano. Una sorta di espressione di nostalgia dell’andare lontano, ma allo stesso tempo l’affermazione che compiendo ogni giorno la stessa camminata e scattando ogni giorno una fotografia dallo stesso punto, questo non sarà mai uguale.
Karin Schmuck, Widest View (40 days, 40 walks, 40 views) (quarantine), 2020. Courtesy l’artista