GIANPAOLO ARENA – MARINA CANEVE

Osservatorio Cortina 2021. La valle tra le cime e le stelle

 

Negli ultimi tre anni Gianpaolo Arena e Marina Caneve hanno lavorato su Cortina e il suo territorio, inteso come spazio geografico e sociale, in vista dei Campionati del mondo di sci alpino di Cortina 2021, che si sono svolti dall’8 al 21 febbraio. Attraverso il progetto “Osservatorio Cortina“, Arena e Caneve hanno realizzato un’indagine fotografica che documenta i momenti chiave della costruzione dell’evento sportivo, guarda la storia del luogo e ne esplora l’identità, e indaga il legame tra sport e territorio. Il risultato del lavoro, La valle tra le cime e le stelle, è un racconto per immagini e testi che rende conto della complessità del territorio montano attraverso l’approfondimento di alcuni temi cruciali, quali le infrastrutture, gli impianti, l’uso estivo ed invernale della montagna, la cultura dello sport e i suoi protagonisti, le rappresentazioni di Cortina e la sua valle, anche attraverso l’utilizzo di immagini d’archivio.
La ricerca artistica di Arena e Caneve, sia singolarmente, sia insieme come progetto CALAMITA/À, di cui sono anche curatori, è incentrata su temi quali la rappresentazione del paesaggio, la complessità e la vulnerabilità, sociale e ambientale, sviluppandosi con un approccio multi e interdisciplinare.

 

 

UNA CONVERSAZIONE TRA GIANPAOLO ARENA, MARINA CANEVE E I CURATORI:

 

AL
Come si legge nel testo introduttivo al catalogo, Osservatorio Cortina 2021 “è un progetto di ricerca artistica in cui, attraverso l’uso della fotografia, sono stati investigati il territorio e l’arco temporale ove sono andati costituendosi i Campionati del mondo di sci alpino di Cortina 2021. Nel corso di tre anni siete stati impegnati a documentare i momenti chiave della costruzione dell’evento sportivo, osservando i luoghi e la loro storia con un atteggiamento aperto, curioso ed esplorativo, ricercando le tracce del legame tra sport e territorio. È evidente che questo viaggio vi ha messo in contatto anche con la dimensione culturale, sociale e ambientale del luogo. Se doveste restituire questa esperienza con una parola o un concetto, quale usereste?

 

GA
Il TEMPO, nella sua ciclica e spietata meccanica, è una dimensione che tiene insieme molti aspetti della nostra ricerca. Da un lato, quello geologico della montagna, stratificato in milioni di anni con inesorabile lentezza, e quello storico della civiltà umana nelle sue relazioni passate, presenti e future. Dall’altro, i cambiamenti dell’ultimo secolo dovuti alle trasformazioni umane e alla ridefinizione di un inedito paesaggio antropizzato. Ancora il tempo ciclico delle diverse stagioni, quello dei flussi turistici nei giorni di festa e nel progressivo insediamento delle seconde case nei mesi estivi. Ancora quello della sovraesposizione mediatica e dell’informazione digitalizzata e iperconnessa o il tempo dei centesimi di secondo delle gare di sci. Controcampi labili dove poter rappresentare la dimensione del tempo e tutto ciò che in questo spazio si muove.

 

MC
L’INSISTENZA dello SGUARDO mi sembra un termine preciso perché rappresenta l’atto del guardare e quello dello stare. Esplorare gli stessi luoghi fin quasi alla noia, vivere in quanto autori un sentimento di frustrazione che ha a che vedere con il continuo rivedere le stesse cose fino al non vedere più nulla di nuovo, salvo poi incappare in dei piccoli dettagli che ci fanno sorprendere e ricominciare a vedere di nuovo. In altre parole si tratta di uno sguardo ossessivo che ha a che vedere con la scoperta di un luogo che pian piano diventa familiare salvo poi incontrare elementi che scardinino l’ordine a cui ci eravamo nel frattempo abituati. Lo sguardo ossessivo si fa preciso per poi riaprirsi in un continuo prendere le distanze e avvicinarsi al soggetto della ricerca stessa.

 

 


VL
Nella vostra ricerca è frequente l’uso ricorrente a “immagini di immagini”, a quelle che William J. Thomas Mitchell chiama “metapicture”. Il risultato è un percorso di conoscenza del territorio attraverso l’iconografia di Cortina: dalle Cinque Torri allo Schuss delle Tofane. In questa vostra indagine quali sono stati i vostri riferimenti: l’iconografia personale con cui vi siete avvicinati al territorio da indagare e i personali stereotipi che avete dovuto combattere?

 

GA
Attraverso un graduale processo di stratificazione, la conoscenza della cultura vernacolare dei luoghi si è sommata a riferimenti già esistenti. Nuove immagini, ubiquitarie e ricorrenti, hanno preso gradualmente il posto di immagini pregresse. Abbiamo desiderato e successivamente ricercato delle fotografie che non siamo stati in grado di restituire. Allo stesso modo, alla luce di questa frustrazione, ci siamo fatti sorprendere in modo inatteso da altre immagini, tra tensione e distrazione, tra ironia e divertimento. Gli stereotipi più “insidiosi” erano quelli legati a doppio filo con la fascinazione estetica di luoghi così celebrati, tanto noti da essere delle icone riconoscibili, tanto decantati da essere dei monumenti sacrali del paesaggio dolomitico.

 

MC
Da un lato mi piace pensare di abbracciare l’immagine stereotipata per generare dei cortocircuiti di senso che permettano di mettere in discussione le nostre convinzioni sul paesaggio fisico e culturale.
Mi rendo conto che le immagini con cui mi avvicinavo al territorio di Cortina all’inizio di questo progetto fossero soprattutto immagini della memoria che derivavano da un alto dall’esperienza diretta e dall’altro da un accumulo di informazioni. Alcuni stereotipi tra l’altro appartengono all’immaginario di Cortina, altri invece alla montagna in senso lato e in questo modo diventano universali. Nel libro non a caso, nella sezione dell’archivio “infinite rappresentazioni” l’iconografia che abbiamo costruito dialoga con una serie di miniguide alla letteratura, la saggistica, il video e il suono; riferimenti per noi per confrontarci con i nostri stereotipi e al tempo stesso “finestre sul mondo”.

 

 


AL
Cortina 2021 è stato in qualche modo una prova generale per le prossime Olimpiadi invernali del 2026. La montagna resta il teatro di eventi internazionali storici ma, in seguito alla recente pandemia, si sta velocemente trasformando sotto molti aspetti.
Alla luce del percorso fatto con il vostro progetto fotografico, se e come secondo voi il Covid-19 sta cambiando il paesaggio montano, inteso quale spazio-di-vita nell’accezione di Annibale Salsa (I paesaggi delle Alpi, 2019)?


GA
Natura e cultura interagiscono costantemente e sono parte integrante del nostro ecosistema locale con i suoi risvolti economici e le sue contraddizioni sociopolitiche. L’uomo stesso è colui che è chiamato a “fare il paesaggio” e a ricercare il proprio spazio di vita in montagna. Attraverso le sue azioni e il suo comportamento è il principale artefice di questo processo di riscrittura del paesaggio stesso. Se il Covid-19, così come altri virus, nasce a causa dei comportamenti sconsiderati degli esseri umani, sono gli esseri umani stessi a pagarne successivamente il conto. La recente pandemia ha favorito un esodo discontinuo verso luoghi considerati più sicuri. La fuga da insediamenti eccessivamente urbanizzati verso aree verdi e pure è solo uno degli effetti. Il desiderio di “essere sulla terra”, di stringere una relazione forte con le proprie origini, ci riporta a un nuovo rapporto con la natura che la cultura produce soprattutto quando ci manca, quando ci allontaniamo da essa. In relazione agli eventi sportivi a diffusione globalizzata, l’immaterialità della comunicazione di massa e le estensioni sempre più ramificate della tecnologia permettono di vivere un surrogato di questo spettacolo diffuso.

 

MC
In effetti prendendo come esempio concreto il caso di “Cortina 2021”, ci siamo confrontati per la prima volta con un grande evento sportivo su scala mondiale da fruire, al contrario delle nostre aspettative iniziali, solamente da remoto. Naturalmente però i Mondiali, tanto quanto sarà per le Olimpiadi, sono stati un evento puntuale seppur costruiti attraverso un lavoro sul territorio lungo anni.
Il tempo che più interessa lo spazio di vita di cui parla il professor Salsa invece è quello spazio in cui il paesaggio (montano) passa dall’essere visto all’essere vissuto, quindi in altre parole dall’essere luogo dello spettacolo a luogo della vita; diventando luogo della vita ci mette sempre più di fronte alle criticità del vivere in montagna. Considerando il contemporaneo uno spazio liquido ed eccezion fatta per uno sviluppo delle reti a banda larga, mi chiedo se l’abitare in montagna subirà delle modificazioni radicali legate al distacco dalle aree metropolitane, se il modello montano si potrà adattare all’idea della città del 15 minuti o se semplicemente, una volta rientrata l’emergenza, verrà perseguito il sogno della montagna come spazio di vita, dove vivere equivale a tutelare, ma anche e soprattutto a soddisfare bisogni e necessità.

 

 

VL
Luigi Ghirri sosteneva che la disaffezione verso le problematiche ambientali potesse derivare dall’incapacità dell’uomo di relazionarsi con l’ambiente attraverso la rappresentazione. E quindi fotografare il paesaggio potesse avere un grande peso culturale e una grande efficacia (Lezioni di fotografia, 2009). Può secondo voi la rappresentazione del paesaggio (in fotografia, nel cinema e nelle altre forme d’arte) avere il ruolo che Ghirri sosteneva o solo il contatto diretto con la natura e il luogo possono creare quell’empatia necessaria per prendersene cura? E non c’è il rischio invece di creare narrazioni “altre” del paesaggio ma “errate”, che creino piuttosto disaffezione e alienazione?

GA
“Cominciando a capire il mondo attraverso l’immagine, capivo l’immagine, la sua forza, il suo mistero”. Queste parole di Michelangelo Antonioni, così come quelle di Luigi Ghirri da lei citate, ci riportano a un’idea di consapevolezza, di educazione all’atto del guardare che reputo essenziale. Essenziale anche per stabilire i rapporti tra il visibile e l’invisibile, per riflettere sulle relazioni tra il reale ed il possibile. Naturalmente raccontare la realtà equivale a raccontare una serie di possibilità, di ipotesi e di percorsi. “Il mistero delle immagini” caro ad Antonioni e che ritroviamo spesso in molte visioni cinematografiche e nella contaminazione tra linguaggi ibridi propri dell’arte contemporanea sono parte di questo processo. La Fotografia può “funzionare” come un dispositivo mediatico, come un efficace strumento di comunicazione sociale. Rendere esplicito un pensiero, un’idea o un concetto può aiutare ad aprire occhi, cuore e mente e contribuire ad una rinnovata forma di civismo, più attento e consapevole.

 

MC
Robert Adams parla delle tre verità della fotografia di paesaggio come contenitore di verità autobiografica, geografica e metaforica. Guardando al paesaggio da questa prospettiva credo che stia a noi veicolare il nostro pensiero sull’ambiente attraverso il nostro lavoro di artisti. Partendo da questa premessa penso anche che sia sdoganato il fatto che il paesaggio non è solo l’immagine (fotografica) di un luogo, frontale e grandangolare, ma si possa manifestare attraverso molteplici forme di rappresentazione – e quindi confronto – con l’ambiente stesso. Personalmente io amo le contaminazioni e mi interessa molto lo scarto generato dall’incontro di esperienza diretta e ricerca scientifica; in generale mi sembra che il punto sia considerare l’ambiente in se stesso come luogo di studio dove manifestare la necessità di fare una riflessione calata nel mondo, con l’altro, e con tutto ciò che abita il mondo, in cui esperienza e ricerca concorrano alla costruzione di un dibattito ampio sull’ambiente, inteso non solo come luogo geografico ma anche sociale e culturale.