MARCO SCHIAVONE

Volume Doppio, 1919 – in corso

Volume Doppio è il primo progetto della rassegna Mountain Scenarios. In questo episodio inaugurale, Andrea Lerda dialoga con l’artista.

 

 


UNA CONVERSAZIONE TRA L’ARTISTA E ANDREA LERDA

AL
Il paesaggio è un tema centrale della tua ricerca fotografica e uso questo termine perché nei tuoi lavori l’immagine fotografica, più del processo che conduce alla sua costruzione, assume un ruolo da protagonista.
Nel progetto Volume Doppio, a cui stai lavorando dal 2019, e al quale, ad oggi, appartengono tre lavori, ti concentri sul paesaggio montano, a te caro per attitudine e vicinanza geografica.
Un paesaggio che, mi pare, non è inteso nella sua accezione estetica e naturale, ma in quanto costruzione (forse antropica).
In Volume Doppio hai scelto una rete per piante rampicanti e l’hai posizionata sulla superficie di alcune presenze che hai incontrato nelle tue camminate in montagna. L’operazione che compi è quella di individuare una piccola porzione di paesaggio e intervenire su di essa per dare forma a una costruzione estetica e semantica inedita.
Dopo aver posizionato questo elemento alieno, fotografi il soggetto e, solo successivamente, la riproduci con un disegno su carta da lucido. Ciò che fai è creare, a tutti gli effetti, un nuovo “livello”, necessario per aggiungere una chiave di lettura all’immagine di partenza.

 

MS
Esatto, ciò che creo è un livello di lettura, non inedito, ma conforme al pensiero di manomettere la percezione del paesaggio per mezzo dell’inserimento di un elemento e poi nasconderlo. Rendo così visibile questa scena solo attraverso la mia immagine fotografica e la testimonianza sotto forma di disegno dell’elemento “intruso”. In fondo non è diverso dalla testimonianza di una vallata prima e dopo la sua edificazione urbana. Si tratta di elementi che lo contraddistinguono e che rendono l’immagine riconoscibile e attribuibile ad un luogo.

 

 

AL
La tua curiosità di capire come un elemento possa cambiare e vincolare la lettura del paesaggio mi fa pensare alla curiosità di un architetto o di un urbanista nell’immaginare la relazione tra architettura, città e l’esperienza dell’abitare.
Trasporto in questo senso la riflessione sulle relazione uomo e ambiente montano, riprendendo il concetto di “paesaggio come progetto” di Massimo Venturi Ferriolo che mi sembra significativo se messo in relazione con Volume Doppio.

“L’uomo può modificare in una determinata direzione l’ambiente che lo circonda. Questa facoltà è legata alla sua esistenza. Anticipare la possibilità di agire sull’ambiente, prevedere, predisporre, pianificare, ordinare, predeterminare, organizzare gli elementi, come il modo di essere e di agire di chi ricorre a possibilità, è avvalersi del progetto; significa immaginare una realtà differente, scegliendo i mezzi per realizzarla.” (M.V. Ferriolo, Etiche del paesaggio, editori Riuniti, Roma, 2002, p.15).

 

MS
La citazione che hai riportato la trovo bellissima. Parla esattamente di ciò che mi affascina nel paesaggio, la costruzione di un possibile scenario è ciò che estrapolo dalla scena e dal paesaggio stesso. La relazione con l’architettura è giusta e viene di conseguenza. Del resto cos’è l’architettura se non due massi verticali e uno orizzontale? Modifichiamo l’orizzonte della percezione dall’origine dei tempi, costruendo, analizzando e sperimentando. Io costruisco analizzo e sperimento esattamente come un uomo primitivo costruisce la sua casa e un architetto sviluppa il suo masterplan urbano. La montagna è il pretesto necessario per parlare di tutto questo e per avere uno sguardo circolare su ciò che ci circonda, reale o artefatto dalla mia mano.

 

AL
“La montagna è una delle vie da percorrere per sfuggire al riscaldamento globale”, scrive Luca Mercalli nel suo ultimo libro Salire la montagna (Giulio Einaudi Editore, 2020) Luogo rifugio per il futuro, laboratorio per configurare nuovi immaginari e cosmologie. L’immagine della montagna che emerge dai tuoi lavori sottolinea, a mio avviso, la sua condizione di fragilità ma, al tempo stesso, di “cantiere aperto” e in costante trasformazione. Che cos’è per te la montagna e in quale modo la creatività contemporanea può, a tuo avviso, contribuire a stimolare il pensiero collettivo e a creare nuove narrazioni?

 

MS
La montagna per me ha sempre simboleggiato la redenzione, il posto dove vado e torno per purificarmi, la mia Mecca, la mia S. Pietro, ci lavoro bene e con fatica. Non so dare un punto di vista più alto per la collettività. Credo però che il rispetto per l’alta quota sia necessario, la redenzione non può diventare colonizzazione anche in questi luoghi perchè già abitati da una storia più profonda, sepolta nella pagine dell’umanità e dei sedimenti rocciosi. Bisogna comprenderla, usarla ed a volte raccontarla. Oggi questo paesaggio diventa parco giochi d’inverno e villeggiatura estiva. Va bene. Preserviamo e usiamo questi luoghi, torniamo ad abitarli perchè la discesa sulla pista nera dura pochi minuti, la salita molto di più. L’arte, non so se c’entra con tutto questo, ma parlandone ne fa già parte. Scopriamolo.

 

BIO
Marco Schiavone, Torino (1990), è cresciuto nella bassa Val di Susa. Ha studiato presso l’Accademia di belle Arti di Cuneo nella classe di grafica. Nel 2015 con un gruppo di artisti ha fondato Spaziobuonasera, artist-run space a Torino. La ricerca artistica si sviluppa con la tematica del paesaggio e del valore dell’immagine.
Nel 2020 è stato selezionato da CAMERA come artista emergente per Futures Photography; finalista del premio FFF Fondazione Francesco Fabbri (2019). Le sue opere sono state esposte in mostre in Italia e all’estero: Photo Open Up, Museo Eremitani, Padova; Audi Studio by Nevven Gallery, Stockholm; Villa Vertua Masolo, Milano; Spaziosiena, Siena; LOFT, Lecce; Las Palmas, Lisbon; Galleria Giuseppe Pero, Milano; BASIS, Frankfurt; Spaziobuonasera, Torino.

www.marcoschiavone.it