LE GRAND VIVEUR
Perla Sardella, Le Grand Viveur. Courtesy l’artista
UNA CONVERSAZIONE TRA L’ARTISTA E ANDREA LERDA:
AL
Perla, Le Grand Viveur è un film di found footage che riflette sulla figura enigmatica di un uomo di montagna sedotto dal mezzo cinematografico. Un cineamatore che tra gli anni ’60 e ’70 osserva e documenta la vita di montagna dei Walser, una piccola comunità che abita le regioni alpine attorno al massiccio del Monte Rosa.
Mario Lorenzini ha registrato immagini di vita comune, capaci però di generare un ambience articolato, fatto di immaginari stratificati, anche grazie all’ambiguità della sua stessa persona.
Per realizzare questo lavoro hai esplorato un archivio segreto girato in Super 8. Che cosa è emerso da questa ricerca? Chi è Mario Lorenzini?
PS
L’archivio è rimasto segreto finché il lavoro di Superottimisti lo ha riportato alla luce. Il lavoro degli archivi di film di famiglia è prezioso perché è proprio quello di preservare e conservare piccole storie familiari a cui solitamente non si attribuisce un particolare valore artistico, ma al massimo un valore storico. Le immagini di Lorenzini sono particolari perché hanno una qualità quasi professionale, difficile da trovare negli archivi familiari girati in super8, e ha anche dei soggetti e delle situazioni insolite: solitamente venivano riprese scene di vita familiare tipo comunioni, cresime, matrimoni. Lorenzini non aveva una famiglia tradizionale ma una allargata, una comunità intera (quella Walser della Valsesia), e quindi riprende le persone che lo circondano e la vita comunitaria di montagna e questo rende i suoi filmini estremamente interessanti. Riprendeva per poi proiettare i suoi film di fronte alla sua comunità, in piazza. Rendeva cinematografici i suoi vicini di casa, le loro piccole storie. Io ho cercato di interrogarmi su chi fosse l’uomo dietro la macchina da presa, quello che solitamente non si vede, che cosa cercasse nel mondo e nelle persone intorno a lui. Ho studiato il suo materiale come si studia quello di un grande autore, cercando di capirne interessi e peculiarità. Non ho scoperto nulla di certamente vero, ho solo fatto delle ipotesi su chi potesse essere e cosa lo attraesse.
Perla Sardella, Le Grand Viveur. Courtesy l’artista
AL
La Comunità di Rimasco considerava Mario Lorenzini “uno strano”. Per questo nessuno faceva caso alle sue riprese e forse questa “invisibilità” rende i suoi filmati delle forme di documentari di un tempo passato, quando l’inverno era una stagione in grado di condizionare fortemente la vita delle persone che abitavano la montagna. Non è forse un caso che Lorenzini muoia d’inverno.
PS
Io non amo l’inverno e non sono una persona di montagna, ma dai racconti e dalla mia brevissima visita in Valsesia si capisce subito che questa stagione condiziona molto il tipo di vita di quelle zone. Innanzitutto quando nevicava la Valle restava bloccata nella neve per mesi interi, questo crea isolamento dal mondo esterno ma sicuramente compatta le persone all’interno della propria comunità. E’ una sensazione che non ho mai provato e un po’ mi attrae. Cercare di dare così tanta importanza alla prossimità geografica, fisica dei corpi delle altre persone è prezioso. Lorenzini muore in inverno e non si sa bene come, la sua figura resta avvolta nel pettegolezzo, nella storia di paese. Mi piace pensare che sia morto nella sua stagione, visto che la neve la filmava continuamente. Ma forse continuo a romanticizzare il personaggio…
AL
In una recente intervista ti sei definita transfemminista. Questa caratteristica ha a mio avviso contribuito al racconto finale di Le Grand Viveur. Mario Lorenzini ritrae infatti un contesto nel quale, storicamente, mascolinità e machismo hanno condizionato i ruoli di genere. I suoi soggetti sono spesso “uomini infallibili, forti, senza paura, la cui fatica si misura dalle mani”.
La montagna, ancora oggi, è spesso legata a una rivendicazione fuori tempo e fuori senso di superiorità da parte del genere maschile.
Quali riflessioni attiva la figura di Lorenzini in questo senso?
PS
Lorenzini filma uomini e donne in maniera diversa. L’uomo ha sempre il ruolo del cacciatore, del lavoratore, è l’azione. Ed in questo è molto tradizionale, come lo è nel filmare la sua controparte, la donna che ha il ruolo di cura, che cucina e pulisce, che sta seduta in mezzo ai fiori, delicata e materna. Lorenzini, come tutti, è figlio del suo tempo, siamo negli anni ’60 e trovare un cineamatore che mette in discussione i ruoli di genere sarebbe incredibile. Quindi è vero che nel filmare Lorenzini aderisce allo stereotipo di come mostrare l’uomo di montagna, ma poi dalla sua storia emerge che era considerato un po’ strano, proprio per il fatto di non aderire esattamente alle aspettative della comunità: era solo, senza famiglia, non aveva una donna. Ed è questo che secondo me lo rende una figura ambigua, diversa, complessa e interessante. Mi piace molto che dai suoi film passi un’idea diversa di famiglia: più allargata, non di sangue, comunitaria, sicuramente diversa da quella patriarcale che di solito si incontra nei filmini di famiglia degli stessi anni.
AL
Le Grand Viveur. Perchè questo titolo?
PS
Lorenzini era un operaio. Il film che fa mentre è in viaggio di lavoro con i suoi colleghi si chiama “Le grand viveur”, mi piaceva molto l’idea che si considerasse un uomo di mondo, allegro, incline al divertimento, al contrario di quanto possiamo pensare noi cittadini non abituati alla vita di montagna.
Perla Sardella, Le Grand Viveur. Courtesy l’artista
Perla Sardella