DISPERSIONE
Silvia Margaria, Dispersione. Courtesy l’artista
UNA CONVERSAZIONE TRA L’ARTISTA E ANDREA LERDA:
AL
Prendo spunto dal titolo di una tua mostra, “La natura non ama nascondersi” per chiederti che cos’è per te la natura e in che modo la tua ricerca esplora un concetto così ambiguo e importante al tempo stesso.
SM
Il titolo della mostra – una personale del 2021 allo spazio Cubo di Bologna – rimanda a un passo di Eraclito, Physis kryptesthai philei cioè “la natura ama nascondersi”, e alla rilettura che del frammento ne fece il filosofo Giorgio Colli con il suo testo eponimo scritto nel ’48. Rispetto alla citazione originale, però il titolo della mostra aggiunge un elemento in più, un “non” cinto tra parentesi per dare la possibilità di negare l’affermazione stessa e capovolgere il senso della frase di fronte a quello che non è un equivoco voluto, ma l’intenzione di dare un punto di vista altro al mistero sul quale la natura si fonda; la nascita di ogni mitologia, religione, filosofia, scienza, in una parola di ogni sapere, costituisce la titanica impresa di cercare di svelarlo.
Partendo dalla teoria della “lotta dei contrari” e dal concetto di “armonia”, Eraclito formulò una nuova teoria per dimostrare che cosa fa andare avanti il mondo, e la ragione per cui non soccombe di fronte alla lotta, ai contrasti ed al caos. La risposta è che i numerosi e continui cambiamenti che si verificano nel mondo, accadono in base a determinati rapporti o proporzioni, ciò che a prima vista ci sembra lotta e contrasto, nasconde invece una profonda armonia; mantenendosi entro tali rapporti, il mondo continua ad andare avanti in un continuo “processo” per il quale il cambiamento è essenziale. La natura ripete se stessa pur essendo sempre nuova perché la natura nasce e rinasce. È a volte mysterium tremendum e a volte mysterium fascinans. Occorre forse avvicinarsi a Orfeo, il poeta che commuoveva le pietre con la bellezza del suo canto, simbolo della contemplazione del mondo, che rivela da sé i propri segreti per comprendere che sono le cose sfuggenti, inattese e precarie della vita che le danno significato.
Silvia Margaria, Dispersione. Courtesy l’artista
AL
Mi racconti com’è nato il tuo lavoro “Dispersione” e quale dimensione esplora?
SM
Dispersione è un’opera che si compone di una serie di fotografie, testimonianza di una camminata sulle Alpi Marittime, le Alpi del Mare, sul sentiero che porta alla punta Marguareis. Il camminare è uno degli aspetti fondanti di Dispersione. Chi cammina in montagna vuole allontanarsi dalla disattenzione del quotidiano, cerca un altro ritmo, cerca la solitudine; camminare è un’attività per prendere le distanze, per riuscire ad avere una visione delle proporzioni delle cose. Ma non è stata una fuga, quella di Dispersione. Anzi è stato un tentativo per ristabilire un dialogo. Le epistole trovate che fanno parte dell’opera e che ho letto ad alta voce durante la salita alla cima, sono scritte a mano da mittenti a me sconosciuti, datate 1916, 1944, post 1946, 1959, 1968. Questi scritti rappresentano per me un modo per avviare un dialogo simbolico con le cose che resistono la cui dispersione può essere determinata dal caso o dall’intenzione.
Il progetto si apre quindi ad una riflessione sulla relazione tra solitudine e comunicazione, sull’equilibrio critico di irrequietezza e stabilità, sul legame con la fragilità, l’errore e il rischio, sul significato di valore e conservazione.
“Quando vai alla ventura, lascia qualche traccia del tuo passaggio, che ti guiderà al ritorno: una pietra messa sull’altra, dell’erba piegata da un colpo di bastone. Ma se arrivi a un punto insuperabile e pericoloso, pensa che la traccia che hai lasciato potrebbe confondere quelli che ti seguissero. Torna dunque sui tuoi passi e cancella la traccia del tuo passaggio. Questo si rivolge a chiunque voglia lasciare in questo mondo tracce del proprio passaggio. E anche senza volerlo, si lasciano sempre delle tracce. Rispondi delle tue tracce davanti ai tuoi simili.” (Il monte analogo, René Daumal).
AL
Le tue parole mi fanno pensare al racconto che Henry Thoreau fa nel suo libro Walden. Vita nei boschi. La sua è una sorta di dispersione volontaria per fuggire alla società americana nella quale vive, per trascorrere due anni in una capanna sulle rive del lago di Walden, a poche miglia dalla cittadina di Concord, in Massachusetts. Siamo solo nel 1845 e Thoureau già percepisce quello smarrimento che l’essere umano sta vivendo, condizionato da dinamiche economiche malate che generano una condizione di malattia di cui lui sente personalmente la necessità di prendersi cura. Montagna, dispersione e resistenza sono tre parole visceralmente legate. Che cosa ci può ancora rivelare oggi la montagna attraverso questa esperienza di “dispersione”?
SM
Le lettere che fanno parte di Dispersione mi hanno inizialmente fatto riflettere sul modo di comunicare e di “parlarsi”; queste epistole di sconosciuti dal passato mi mettevano di fronte al fatto che solitudine e comunicazione non sempre sono contrarie. Così è iniziata la ricerca per Dispersione, cercando la condizione della solitudine in montagna portando con me quelle lettere trovate.
La montagna, l’espressione geografica più duratura rispetto alla transitorietà umana, è sempre stata percepita come spazio metaforico e simbolico; l’arrivo in cima è un chiaro trionfo sulla fatica dato anche dal fatto che geograficamente non c’è altro luogo oltre il quale andare. La montagna, nella sua alterità e concretezza, costituisce indubbiamente una posizione privilegiata dalla quale osservare il mondo isolati dalla società. Per questo ha un potere trasformativo. La percezione della montagna penso debba essere plurale e variabile, una relazione continua, un invito alla resistenza, al rispetto e alla consapevolezza che non siamo altro che solitudini che si incontrano.
Silvia Margaria, Dispersione. Courtesy l’artista
AL
In Dispersione l’azione del camminare tra le Alpi Marittime genera la possibilità di percepire diversamente la realtà. L’opera nasce da una partecipazione fisica, oltre che emotiva. L’aspetto performativo, centrale in questo lavoro, così come in molte altre pratiche artistiche odierne, testimonia la necessità di molti artisti di “essere all’aria aperta” per dare forma alla propria ricerca. Come vedi questo fenomeno?
SM
Penso che la pratica artistica che necessita di un confronto con un contesto ambientale, inteso non soltanto come concetto territoriale, ma come invisibile matassa di relazioni, narrazioni, memorie attivi maggiore consapevolezza e responsabilità rispetto alla realtà e al mondo. L’esigenza di intervenire “all’aria aperta” nasce credo dall’osservazione della processualità, intesa come un divenire incessante, in perenne ridefinizione, e si traduce in atti che si caratterizzano per un atteggiamento costante di premura per ciò che già esiste, di riguardo per i margini, per gli aspetti contingenti.
L’atto performativo di Dispersione, che prende senso da un lato dalla rilettura del passato, dall’altro da una proiezione verso il futuro, ha cercato una forma quasi organica per l’azione del disperdere, lasciare cadere. Le cose disseminate, disperse o lasciate cadere (per caso o per intenzione) si comportano come semi, possano resistere, crescere, evolversi, costruirsi.
Silvia Margaria, Dispersione. Courtesy l’artista
Silvia Margaria